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indipendenti, già con il XII secolo, assunsero uno stemma, concesso di norma dall'imperatore o dal vescovo. Nata dalla pratica dei tornei, dagli araldi (che daranno il loro nome all'araldica) e dalla necessità di costituire degli annuari affidabili (gli stemmari) con la doppia funzione di raccolta di identità e di deposito di elementi esclusivi. In origine lo stemma veniva riprodotto sugli scudi e sui vessilli dei cavalieri, per permettere di distinguere e riconoscere un intero gruppo di persone, sia nei suoi componenti che nelle sue proprietà. Anche se spesso si pensa che l'uso di uno stemma coincida con uno stato nobiliare, non è così: ad essere prerogativa nobiliare, infatti, non è lo scudo in sé, ma l'uso di alcune ornamentazioni esterne allo scudo stesso. Ecco, quindi, che l'estrema libertà nella rappresentazione grafica viene ad essere strettamente correlata a una estrema rigidità nel linguaggio utilizzato per la blasonatura; ogni parola del linguaggio ha un suo ben preciso ed esclusivo significato e, per contro, è l'unica che può essere impiegata per descrivere quel particolare elemento grafico. Con la creazione della Consulta Araldica del Regno d'Italia, nel 1869, si cercò di disciplinare la materia, affermando, tra l'altro, il principio che solo tale Istituto aveva la facoltà di istruire le pratiche araldiche e di fornire i conseguenti pareri, prima dell'emanazione dei decreti reali e delle conseguenti Regie Lettere Patenti di concessione dello stemma. Ai giorni nostri la materia trova la propria disciplina nell'Ordinamento dello stato nobiliare italiano, approvato con il R. D. 7 giugno 1943, n. 651 e nel Regolamento per la Consulta Araldica, reso esecutivo con il R. D. 7 giugno 1943, n. 652, mentre l'istruttoria per la concessione degli stemmi civici e la stesura dei Decreti Presidente della Repubblica concessivi dello stemma, compete all'Ufficio Araldico istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Le parti dello stemma si compongono dello scudo, della corona e dell'elemento decorativo, mentre non sono riproducibili gli elmi, ai sensi dell'art. 67 del R.D. 7 giugno 1943, n. 652, e, di conseguenza, anche il cercine, gli svolazzi ed il cimiero, elementi questi indissolubilmente connessi all'elmo nell'araldica ed altresì esclusi figurano anche i motti, i sostegni ed i tenenti, come previsto dall'art. 39 del R.D. 21 gennaio 1929, n. 61. Per lo scudo, che è l'elemento più importante di uno stemma, si seguono le stesse regole di qualsiasi altro scudo araldico gentilizio o ecclesiastico, in 4
comunità, e non uno stemma gentilizio o ecclesiastico, è a tutti gli effetti uno stemma araldico; di conseguenza dovrà essere “appuntato “e misurare sette moduli di larghezza e nove moduli d'altezza, salvo speciale concessione ad usare un altro scudo come nel caso della città di Venezia che legalmente usa uno scudo “di forma veneta”, riconosciuto con Decreto del Presidente della Repubblica 6 novembre 1996. Per le Province, Città e Comuni, invece, le corone vigenti figurano blasonate negli artt. 95, 96 e 97 del Regio Decreto 7 giugno 1943, n. 652. Per la corona di Comune l'art. 97 del Regolamento per la Consulta Araldica, approvato con il R. D. 7 giugno 1943, n. 652, così prescrive: “è formata da un cerchio d'argento aperto da quattro pusterle (tre visibili) con due cordonate a muro sui margini, sostenente una cinta aperta da sedici porte (nove visibili) ciascuna sormontata da una merlatura a coda di rondine, il tutto d'argento e murato di nero”. Passando ora al gonfalone degli enti territoriali e morali, che deriva dall'antico termine francese gonfalone, ossia “stendardo da guerra”, dall'antico termine franco-germanico gundfahne, ossia “bandiera di guerra” e dal termine scandinavo gunnefane, ossia “bandiera da battaglia”, ricordiamo che agli albori dell'araldica era più comune degli stemmi. I gonfaloni comunali erano portati da un gonfaloniere, ch'era per lo più il primo magistrato della città o della repubblica; i gonfaloni delle arti, corporazioni e quartieri erano portati da “banderai”, “caporioni vessilliferi”, “sindaci delle arti”, “tribuni” e “capitani del popolo”. (tratto da Araldica Civica di Giorgio Aldrighetti) L’Araldica civica ……. A Roma, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, c’è l’Ufficio Araldico diretto da valenti studiosi ed esperti araldici e giuridici, che istruisce e provvede a predisporre i relativi decreti da sottoporre al Capo dello Stato e del Governo per la relativa firma. L’entrata in vigore della legge n. 142 del giorno 08.06.1990 ha fatto scattare il diritto/obbligo per Comuni e Province di dotarsi di apposito Statuto sul quale va riportato, tra gli elementi identificativi propri dell’ente locale, la descrizione dello stemma e gonfalone. 5
Regione o Ente, deve soddisfare alcune precise regole. Ecco le principali. LO SCUDO - Forma e misure. Lo scudo deve misurare 7 moduli di larghezza e 9 moduli di altezza. Lo scudo generalmente adottato è di tipo sannitico, detto anche francese moderno. CORONA - Tipo Comune: formata da un cerchio aperto da quattro pusterle (tre visibili), con due cordonate a muro sui margini, sostenente una cinta, aperta da sedici porte (nove visibili), ciascuna sormontata da una merlatura a coda di rondine, il tutto d’argento e murato di nero. (art. 97, R. D. 7 giugno 1943, n. 652). Elemento decorativo: due rami, uno di quercia con ghiande e uno di alloro con bacche, fra loro decussati, posti sotto la punta dello scudo e annodati da un nastro con i colori nazionali. 6
Drappo quadrangolare, di un metro per due, del colore di uno o di tutti gli smalti dello stemma dell’ente, sospeso mediante un bilico mobile ad un’asta ricoperta di velluto dello stesso colore, con bullette poste a spirale, e terminata in punta da una freccia, sulla quale sarà riprodotto lo stemma, e sul gambo il nome dell’ente. Il drappo, riccamente ornato e frangiato sarà caricato, nel centro, dello stemma dell’ente, sormontato dall’iscrizione centrata (convessa verso l’alto) dell’ente. La cravatta frangiata dovrà consistere in nastri tricolorati dai colori nazionali. (art. 5, R. D. 7 giugno 1943, n. 652) Per prassi invalsa, le parti metalliche del gonfalone dovranno essere: argentate per gli stemmi del Comune, d’oro per gli stemmi della Provincia e della Città. Analogamente i ricami, i cordoni, l’iscrizione e le bullette a spirale dovranno essere d’argento per gli stemmi del Comune, d’oro per gli stemmi della Provincia, e della Città. 7
Francesco Pansa nella sua “Istoria della Repubblica Amalfitana” nel primo volume a pag. 151 scrive Sopra Prajano, e propriamente verso il piano di quel monte è riposta Agerola, detta picciol Agro dalli nobili antichi Amalfitani, ove andar soleano per diporto e avevano le loro abitazioni i Bembi, i Corsari, i Comitursi, i Quatrari ed altri. Essendo questi luoghi altissimi dicesi che fu nominata Agerola atteso che a salirvi abbisognano l’ali, ed in fatti questa Terra fa per impresa l’ali d’un Corvo. Dunque, alla quinta riga egli dichiara che lo stemma (impresa) di Agerola era composto da due ali di corvo. La cosa è confermata da un documento del Fondo Mansi conservato presso l’archivio della Badia della SS. Trinità di Cava dei Tirreni, ove si legge una precisa “blasonatura” (descrizione) dell’antico stemma araldico di Agerola: “D’argento alla banda di rosso caricata da tre stelle d’oro a sei punte e affrontata da due ali nere d’aquila”. Ad eccezione dello scambio penne d’ aquila-corvo, la descrizione del Pansa è confermata, in più abbiamo l’informazione che le ali stavano una di qua e l’altra di là di una banda con sopra tre stelle a sei punte, per non dire dei colori (argento per il fondo, oro per le stelle; rosso per la banda e nero per le ali). Fino a un anno fa circa, le descrizioni verbali di cui sopra erano tutto ciò che avevamo circa l’antico stemma di Agerola. Poi, durante una conversazione con l’amico Riccardo Mannini, nipote del compianto Angelo Mascolo, autore del più 8
e quando, il prof. Giuseppe Gargano aveva menzionato l’esistenza del logo. Il prof. Gargano, da me interpellato, asserì che l’antico stemma civico era raffigurato su retro del crocefisso marmoreo che si può osservare presso l’altare maggiore della parrocchiale della SS. Annunziata. Come ho affermato nella nota esplicativa che, molto opportunamente il priore, Gen. Pasquale Cuomo, ha di recente affissa vicino al reperto, quella croce proviene dal medievale monastero di Cospidi. Sempre in quella nota si legge poi: “Risulta che Ferdinando Coppola di Crescenzo e di Giovanna Acampora (seconda moglie), parroco in Santa Maria di Agerola, aveva recuperato e sistemato la croce nella sua abitazione in Casa Coppola” per poi cederla a dei suoi nipoti che infine, nel 1937 la offrirono alla parrocchia della SS. Annunziata. Il Crocifisso fu collocato in una nicchia esterna alla chiesa (vedi foto) con il lato con lo stemma verso il muro, dunque invisibile. Successivamente il crocifisso fu portato all’interno della chiesa e posto alla sinistra dell’altare maggiore, purtroppo sempre con lo stemma verso il muro. Grazie all’indicazione del prof. Gargano, mi recai insieme al dr. Antonio Naclerio a San Lazzaro per scattare delle foto (che seguono) dell’antico stemma di Agerola, finalmente ritrovato. 9
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