I Comuni nel feudalesimo non possedevano stemmi, ma con il XII secolo iniziarono ad adottarli, concessi dall'imperatore o dal vescovo. Lo stemma serviva a distinguere e riconoscere gruppi di persone. L'uso di uno stemma non coincide necessariamente con uno stato nobiliare, ma è strettamente regolamentato da un linguaggio specifico. La Consulta Araldica del Regno d'Italia, istituita nel 1869, ha disciplinato la concessione degli stemmi. Attualmente, l'Ordinamento dello stato nobiliare italiano e il Regolamento per la Consulta Araldica regolano la materia, con l'Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri che gestisce le concessioni degli stemmi civici.
Lo stemma di un Comune si compone dello scudo, della corona e dell'elemento decorativo. Le regole per lo scudo seguono gli standard araldici, con specifiche dimensioni e forme. La corona del Comune è descritta dettagliatamente nell'art. 97 del Regolamento per la Consulta Araldica. Il gonfalone, derivante da antichi termini per "bandiera da guerra", era comune agli albori dell'araldica e veniva portato da figure istituzionali come il gonfaloniere.
L'Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri a Roma gestisce la concessione degli stemmi per Comuni e Province, in base alla legge n. 142 del 1990. Gli enti territoriali devono dotarsi di uno Statuto che includa la descrizione dello stemma e del gonfalone. Le regole tecniche per gli stemmi includono specifiche sullo scudo, la corona e il gonfalone, con dettagli sulle forme e i materiali da utilizzare.